Da sempre la guerra è mossa da una macchina complessa di interessi economici, strategici, geopolitici… Alimentati da acredini nazionaliste e competizioni più o meno evidenti tra nemici di vecchia data. Si passa sopra all’economia del Paese che viene attaccato, e pure alla propria. Si passa sopra agli innocenti, e se accade un conflitto mondiale, in fin dei conti, “cosa importa”? “Io ho combattuto per il mio Stato, per i miei ideali”.
E se invece questa non fosse una grande distopia messa in atto dall’uomo, che usa la forza dell’esercito per servirsi del suo apparato bellico, quando invece questa stessa forza potrebbe avere molto più potere?
Pensiamoci: se tutti gli eserciti del mondo si rifiutassero di combattere, cosa accadrebbe? Ci insegna Gandhi che con la nonviolenza di un uomo si può smuovere una montagna intera, cosa che un solo fucile non potrà mai fare.
L’appello sarebbe questo, sì: #iononcombatto.
Io non combatto perché non voglio dare la mia vita per un provvedimento ingiusto. Io non combatto perché non voglio mettere fine alla vita di un’altra persona. Io non combatto perché non voglio seminare distruzione, odio, miseria, disperazione. Sono un soldato, un uomo coraggioso, per questo non combatto.
In un mondo parallelo, chissà, invece di piccoli uomini in coi caschi e con un fucile pronto a esplodere un colpo mortale, ci sono soldati senza più armi, ormai bandite. Finché un soldato impugna l’arma c’è uno Stato che costringe un uomo ad uccidere un altro uomo, per soldi.
Un uomo libero è invece chi sa dare un valore più alto alla propria vita e a quella degli altri. Utopia? Forse. Ma ci sono tantissimi movimenti che hanno portato avanti tesi utopiche e che però poi sono diventati realtà?
Perché non chiedere ai soldati di non combattere, e di vivere così la battaglia più ardua, quella più valorosa, quella che si rifiuta di fare ad un altro quello che non si vorrebbe fosse fatto a sé (cfr Mt 7,12)?