L’Humanae vitae e la condizione umana, in primis coniugale e familiare, che va abitata e amata

Un passaggio della prefazione di monsignor Pierangelo Sequeri, preside del Pontificio Istituto teologico “Giovanni Paolo II”, al nuovo saggio di don Gilfredo Marengo, pubblicato oggi dal quotidiano Avvenire

L’appassionata ricognizione di Gilfredo Marengo porta alla luce e valorizza testi e passaggi inediti (o solo parzialmente noti) del processo che è infine approdato alla nascita dell’enciclica, appunto. E si deve proprio alla generosa e lungimirante sensibilità di papa Francesco la decisiva autorizzazione alla consultazione di carte sino ad ora inaccessibili. Motivo di speciale gratitudine, per questa consegna, verrà certamente anche da parte di tutti gli studiosi, a vario titolo interessati alla storia di quella nascita. Ma direi anche del popolo di Dio, che ora dispone di un ulteriore strumento di comprensione e di apprezzamento delle ragioni di un testo che si trova innegabilmente nel crocevia di un forte “conflitto delle interpretazioni”. Un tale conflitto, per la verità, non riguarda soltanto l’interpretazione esatta dell’imperativo morale, ma anche la portata delle ragioni e delle motivazioni che si propongono di argomentare quella interpretazione (…).

La prima e più viva impressione – la esplicita del resto lo stesso Autore – è la conferma di un approdo forse inaspettato, ma tutt’altro che improvvisato, solitario, autoreferenziale, reticente. Di questo lavoro, e delle sue dialettiche, l’enciclica stessa dà conto: con piacevole sobrietà e inconsueta franchezza (per lo stile magisteriale). Lo stile è propositivo, incoraggiante, a tratti persino affettuoso. Personalmente sono sempre molto intrigato dalla sorprendente serenità con la quale si trovano allineate opposte previsioni. Da un lato, quella di una speciale fatica della recezione, anche cattolica. E dall’altro la convinta fiducia in una recezione, anche laica, di profonda sintonia (…).

Humanae vitae insiste analiticamente, nella seconda parte, sulla necessità che tutti (teologi, filosofi, biologi, medici, politici ed ecclesiastici) si sentano convocati ad approfondire le linee argomentative e le conoscenze tecniche più idonee a favorire quel compito di armonizzazione della natura e dello spirito che è implicato nella consegna del Creatore, che il Signore sigilla con il sacramento della Chiesa. In realtà, l’intera comunità, i pastori e le famiglie stesse che la compongono, sono convocati a questa ricerca: e alla testimonianza dell’amore che la ispira. La delicatezza richiesta, in molti modi, dalla vocazione coniugale che si lascia ispirare e guidare dalla fede, deve essere persuasivamente comunicata attraverso i canali dell’amore fraterno dei discepoli. Questa è la via della Chiesa. Lo ha prontamente ricordato lo stesso Paolo VI, dopo la promulgazione dell’enciclica. La condizione umana – in primis quella coniugale e familiare – va abitata e amata, anzitutto, con grande rispetto e consapevolezza della serietà del suo azzardo: che infine soltanto la fede può sostenere. Papa Francesco, con l’esortazione apostolica Amoris laetitia, ha infine reso emblematico e vincolante questo stile cristiano per l’intera pastorale ecclesiale. Nella storia degli effetti di Humanae vitae, questo approdo risulta molto ispirante per l’apprezzamento di quell’inizio. Nel solco di questa prima grande apertura alla nuova centralità e sociale del legame coniugale-generativo, ora la Chiesa è universalmente sollecitata ad abitare la condizione familiare come res propria.

E incoraggiata ad accogliere, accompagnare, integrare nel grembo familiare di suoi affetti (che non possono se non rispecchiare i sentimenti di Cristo, cfr. Fil 2, 5) tutti coloro che cercano la via di Dio sulle strade degli uomini. Nessuno deve essere abbandonato alle fatiche dell’amore umano durevole e fecondo; a nessuno deve essere sottratta la consolazione di scoprirne la gioia predisposta da Dio per coloro che cercano di custodire il significato generativo dell’intimità. Fino a scoprire la bellezza dell’intimità dell’amore che condivide serenamente questa delicatezza (quella che l’enciclica nomina come castità coniugale)

 

Foto: opera di Maximino Cerezo Barredo

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