L’articolo pubblicato su Formiche
“I cristiani rimarranno nella regione solo se la pace sarà ristabilita”, ma “non è possibile immaginare un Medio Oriente senza cristiani: questo non solo per ragioni religiose, ma anche politiche e sociali, perché i cristiani sono un elemento essenziale di equilibrio della regione”. Così il cardinale svizzero Kurt Koch, presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, presentando in Sala stampa vaticana l’incontro di pace del prossimo 7 luglio a Bari, in cui Papa Francesco incontrerà i capi delle Chiese e delle comunità cristiane del Medio Oriente, ha messo in chiaro quali sono i principi portati avanti con perseveranza dalla Chiesa cattolica sul tema dei cristiani in Medio Oriente.
La necessità, ha spiegato, è quella “di proteggere i diritti di ogni persona e di ogni minoranza”, come già affermato da Benedetto XVI nella sua Esortazione apostolica sul Medio Oriente. “Il primato del diritto, compreso il rispetto per la libertà religiosa e l’uguaglianza davanti alla legge, basato sul principio di cittadinanza a prescindere dall’origine etnica o dalla religione, è stato ripetutamente sottolineato dalla Chiesa cattolica come principio fondamentale per la realizzazione e per il mantenimento di una coesistenza pacifica e fruttuosa tra le varie comunità in Medio Oriente”, ha infatti spiegato il cardinale svizzero prima di citare l’ultimo principio portato avanti dalla Chiesa, quello cioè della “urgente necessità di proseguire il dialogo interreligioso”. Lo stesso che viene descritto da Papa Francesco, nella sua Lettera ai cristiani in Medio Oriente, come “il migliore antidoto alla tentazione del fondamentalismo religioso, che è una minaccia per i credenti di tutte le religioni”.
L’evento di Bari, che sarà scandito da composizioni musicali in arabo ed aramaico e dal Vangelo cantato in lingua araba da un diacono siriano, si articolerà in due momenti principali: una preghiera sul lungomare insieme ai fedeli e un momento di “riflessione e ascolto reciproco” tra il Santo Padre e i capi delle Chiese e comunità ecclesiali del Medio Oriente. Questa seconda parte sarà preceduta da una relazione dall’amministratore apostolico del Patriarcato Latino di Gerusalemme mons. Pierbattista Pizzaballa, che introdurrà in questo modo le linee guida del discorso che affronteranno i leader religiosi. Prima di poter osservare, una volta riaperte le porte della Basilica di San Nicola, il Papa e gli altri capi religiosi liberare al cielo delle colombe, messe nelle loro mani da alcuni bambini, in simbolo di pace.
È infatti evidente l’impegno che Francesco riversa a favore della pace in Medio Oriente, scandito da appelli, riflessioni e gesti che si dispiegano nel corso degli anni del suo pontificato. E che si cristalizzano, come ricordato dal cardinale Leonardo Sandri, prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali, nella Messa di inizio pontificato, attorniato dai patriarchi e dagli arcivescovi maggiori delle Chiese Orientali Cattoliche. Oppure in quella condivisione del dolore che ha trovato sintesi nella tragica espressione di “ecumenismo del sangue”, e simbolizzato nella statua in bronzo alta 2 metri di San Gregorio di Narek collocata all’interno dei giardini vaticani. Per giungere fino alla dimensione tout-court del dialogo interreligioso, culminata nei momenti apicali della preghiera per la pace di Assisi o del viaggio apostolico di Francesco in Egitto, in cui si è svolto il momento di incontro presso l’Università di Al-Ahzar.
Le stesse dichiarazioni congiunte firmate dal Papa e da altri Capi di Chiesa non sono affatto meno numerose, e una caratteristica comune è quella di avere sempre posto al centro la preoccupazione per i cristiani in Medio Oriente. Basti pensare all’intesa con il Patriarca Bartolomeo a Gerusalemme nel 2014, alla visita nella Moschea Blu di Istanbul sempre nello stesso anno, all’incontro con il Patriarca armeno Karekin nel 2016, con Papa Tawadros al Cairo nel 2017, e infine con il Patriarca di Mosca Kirill a l’Avana, nello storico accordo del febbraio 2016. Mentre il cammino di dialogo e di ascolto tra la Chiesa cattolica e quella ortodossa risale ancora indietro nel tempo, al gennaio ’64, quando Paolo VI incontrò il patriarca Atenagora per dare vita a quel pellegrinaggio comune a Gerusalemme che segnò l’avvio del “dialogo di carità”. Durante la preghiera, all’ascolto del capitolo diciassettesimo del Vangelo di Giovanni, lo scambio del bacio della pace diede inizio al cammino nella direzione dell’unità tra le due Chiese, e che prosegue ancora oggi.
Per questo, inserendosi in questa forte tradizione l’incontro di Bari del 7 luglio rappresenterà “un gesto forte nella sua essenzialità”, ha spiegato il cardinale Sandri. Incontro di cui l’idea “viene da lontano e da più voci”, ha proseguito il porporato argentino. Che nasce cioè per volontà delle stesse Chiese orientali o dei Patriarchi, molti dei quali si sono rivolti direttamente a Bergoglio nelle loro visite a Roma, o nell’appello inviatogli nel febbraio 2016, per mano di tutti i Patriarchi cattolici del Medio Oriente, dal Patriarca maronita Cardinale Béchara Boutros Raï. Missiva in cui si menzionava la disponibilità, da parte di Capi di Chiese non cattoliche della regione, a partecipare all’incontro offrendo il proprio intervento. Fondamentali nel percorso di preparazione, ha poi spiegato ancora il cardinale, sono stati l’ausilio del fondatore della Comunità di Sant’Egidio Andrea Riccardi, il lavoro della Segreteria di Stato o del servizio di sicurezza vaticano, e l’apporto del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani.
“Bari, città che custodisce le reliquie di San Nicola, e venera la Madre di Dio sotto il titolo di Odegitria, la conduttrice in via, è luogo simbolico: presenza dell’Oriente in Occidente, luogo di pellegrinaggio ed approdo di speranza”, si è spiegato durante la presentazione. Mentre invece il Medio Oriente, ha affermato Koch, che è “terra delle origini”, oggi “è anche una delle regioni del mondo in cui la situazione dei cristiani è più precaria”. La percentuale dei cristiani nel Medio Oriente è “diminuita drasticamente nell’arco di un secolo”, ha spiegato lo svizzero. Se infatti prima dello scoppio della Grande guerra i cristiani rappresentavano il 20% della popolazione del Medio Oriente, ora si attestano attorno al 4%. “Regione martirizzata, il Medio Oriente è anche un luogo dove le relazioni ecumeniche sono più forti e promettenti, in particolare tra ortodossi e cattolici”, ha tuttavia continuato il porporato, menzionando tre dimensioni principali di tale ecumenismo: della vita, della santità e del sangue.
Vale a dire, l’ecumenismo della vita in cui, come affermò Bergoglio nel dicembre 2014, “in mezzo alle inimicizie e ai conflitti, la comunione vissuta tra di voi in fraternità e semplicità è segno del Regno di Dio”. E che talvolta è stato persino “tradotto in accordi pastorali” che hanno previsto “l’accesso ai sacramenti di altre Chiese da parte dei fedeli”, ha spiegato Koch, citando come esempio il caso con la Chiesa ortodossa siriana nel 1984 e quello tra la Chiesa caldea e la Chiesa assira dell’Oriente nel 2001. Poi c’è l’ecumenismo della santità, in quanto “la difficile situazione dei cristiani del Medio Oriente è per loro una chiamata alla santità e quindi un pegno di unità”, ha spiegato Koch. E infine quello del sangue, che si realizza, citando sempre un noto discorso di Papa Francesco pronunciato nel maggio 2014, “quando i cristiani di varie denominazioni si trovano a soffrire insieme, uno accanto all’altro, e ad aiutarsi l’un l’altro con carità fraterna”.