La fede alla prova della robotica. La riflessione della Chiesa

Oggi, sempre più, le macchine si stanno facendo spazio in ogni ambito dell’esistenza umana. Il rischio, come ha denunciato il Papa, è quello di un rovesciamento che conduca verso strade infauste: quelle di una tecnica che non si limita a guidare sé stessa, ma che finisce per guidare l’uomo. Nonostante, le macchine, in origine siano state costruite con l’obiettivo di aiutare l’uomo, e basta pensare all’etimologia del termine robot, che in ceco richiama alla schiavitù dei lavori forzati. Il che però non tranquillizza molto: l’uomo ha già costruito la bomba atomica con le sue stesse mani, per poi arrivare a un passo dall’annientarsi per via del suo utilizzo. Sono state queste le ragioni che hanno spinto la Pontificia Accademia per la Vita a festeggiare i suoi venticinque anni d’attività con un ricco convegno in Vaticano, a cui hanno partecipato 140 accademici, 14 dei quali in veste di relatori, centrato sul particolare tema della robotica, che poco sembra a che fare, a un primo sguardo, con la fede cristiana.

Il quadro di fondo, su cui si è cercato di convenire, è che, se l’uomo manterrà il controllo della tecnologia, queste aiuteranno al miglioramento della vita delle persone. I robot infatti, tremendamente dispendiosi in termini di energia, potranno essere impiegati al massimo per questioni della portata, ad esempio, dell’inquinamento atmosferico, oppure per sostituire masse di uomini in lavori usuranti, come ha spiegato l’italiano Roberto Cingolani, dell’IIT Genova. Per lo scienziato, i robot sono macchine destinate a rimanere, di per sé, tendenzialmente stupide, ma capaci tuttavia di usufruire di un strumento come il cloud, a cui milioni di queste potranno connettersi contemporaneamente. Il problema è che il mondo evoluto, aggrappato in maniera fideistica all’idea di progresso inevitabile e senza confini, produce continuamente nuove tecnologie senza però applicarsi altrettanto nel calcolo del loro rischio. Un atteggiamento antiscientifico di cui ne sono responsabili gli stessi uomini di scienza.

“Potremo avere una nuova specie, fatta di milioni di robot con una sola intelligenza collettiva, di cui non c’è un equivalente biologico. Oggi siamo sette miliardi di umani, e tutti un po’ pazzi. Domani potremmo avere un milione di robot con un solo cervello”, ha affermato Cingolani. Una sfida enorme, quella di pensare di convivere con una nuova specie, che pone quesiti filosofici, normativi, sociologici. E al momento ciò che perdura è una scarsa comprensione dei cambiamenti, per cui i sistemi di produzione non hanno il tempo di adattarsi: un fatto che provoca squilibri a livello lavorativo, che aumenteranno. E si perderanno lavori, con il risultato che molti cittadini, i più svantaggiati, si troveranno in difficoltà.

Ma una domanda sorge spontanea: perché parlare di tutto ciò in Vaticano? “I robot stanno alterando la cultura e creando una nuova grammatica per l’attività teologica, necessaria per affrontare le questioni etiche portate dall’intelligenza artificiale”, risponde il teologo maltese Emmanuel Agius, decano dell’Università di Malta, incaricato nel convegno di affrontare il problema da una prospettiva teologica. “Questi non potranno mai raggiungere la capacità umana di scegliere. Un robot non ne ha la libertà, non può agire secondo una propria coscienza. E non lo potrà mai fare”.

Le realtà che ci si trova di fronte è cioè complessa e articolata, e sta mutando radicalmente la vita umana, a tratti compromettendola: i robot e l’intelligenza artificiale, dal loro uso comune fino a quello criminale o bellico; la genetica e le sue derive più aberranti, eugenetiche, che includono aborto, eutanasia, screening della trisomia, fino all’idea di un genoma umano radicalmente alterato, ad uso e consumo delle vanità consumistiche; o il più banale mondo del web e delle reti sociali, da cui derivano le cosiddette dipendenze cognitive, con i motori di ricerca a fungere da nuovi oracoli, che declassano il pensiero a inutile fatica. Il senso di disumanizzazione è crescente, e in tutto ciò il rischio, per un pensiero cristiano che voglia affrontare queste tematiche, è di cadere in un baratro sincretista e relativista, appiattito sul sociologismo.

Per questo, mai come oggi c’è un drammatico bisogno di figure autorevoli nel mondo cattolico che approfondiscano tali problematiche, nel solco dell’insegnamento di Gesù Cristo, punto di incontro tra divino e umano, tra trascendenza e immanenza, il che fa del confronto tra scienza e fede un cardine del pensiero della Chiesa cattolica. Basta accostarsi all’evoluzione del transumanesimo, per realizzare quanto un pensiero cattolico forte sia oggi gravemente necessario.

Se infatti la filosofia transumana ritiene che la genetica e le neuroscienze possano trasformare l’uomo fin dalla radice, per affrancarsi dai suoi limiti naturali, lo stesso vale per le nuove tecnologie. Per le quali l’uomo diventa nient’altro che un mezzo, uno strumento in mano a èlite illuminate.

È la vecchia teoria evoluzionistica per cui la mente e l’anima non sono altro che un ammasso di neuroni. Ma è anche una nuova tentazione gnostica, quella di considerare la carne come un peso da cui affrancarsi, e non come la casa dell’anima e della spirito, “tempio dello Spirito Santo”, come la descriveva San Paolo nella Lettera ai Corinzi. I cristiani sanno bene che alla base di tutto ciò vi sia naturalmente il peccato umano, la hybris che fin dalla Genesi lo ha accompagnato nel suo cammino terreno, e che oggi si manifesta nella ricerca di profitto illimitato, nella vanità incondizionata, nell’ingordigia e nell’avidità senza scrupoli. Ma si ritorna sempre, inevitabilmente, al peccato originale: quello di voler essere come “Dio”.

È infine lo stesso pensiero scientista che, credendo che l’uomo si esaurisca in ciò che è misurabile, finisce per ammettere implicitamente che una volta creati artifici tecnologici migliori dell’uomo, di lui non ce ne sarà più bisogno. È l’uomo che uccide l’uomo, che si condanna alla propria fine, autodistruggendosi per libera scelta. “I robot stanno sempre più sfumando la distinzione tra umano e non, tra l’intelligenza della macchina e quella dell’uomo. Ma non potremo mai considerare i robot come soggetti con una loro dignità umana propria”, ci rincuora Agius. “Il transumanesimo cambia la natura umana, e il paradigma tecnocratico che valuta tutto da un punto di vista tecnologico sta cambiando la razionalità umana, e cosa intendiamo quando si parla di umano. Ma oggi stiamo definitivamente superando il limite”.

L’uomo è infatti molto più che un ammasso di cellule, e l’unico antidoto è riconoscere il suo valore illimitato, che lo trascende, perché creato a immagine e somiglianza del Creatore. Perciò è necessario che ci si chieda, nel sonno dell’Occidente, cosa veramente caratterizza l’uomo, ben al di là di quanto propinato dalle ideologie materialiste propinate negli ultimi secoli. Prima che stavolta siano le intelligenze artificiali a darci una risposta.

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