“Il vero anticonformista oggi è il giovane credente”, ha affermato il cardinale Mauro Piacenza giovedì scorso, durante un convegno in svolgimento presso il palazzo della Cancelleria, sede storica della Cancelleria Apostolica dove oggi sono situati i tribunali della Santa Sede. E “sarebbe delittuoso” se vescovi e sacerdoti non percepissero questa urgenza di una “radicale riforma di mentalità nell’esercizio del ministero pastorale”.
Un appello che ci sentiamo di condividere in pieno, perché crediamo che sia proprio questo il punto centrale nella debolezza del rapporto tra giovani e fede oggi, a pochi mesi dal Sinodo dei giovani indetto e voluto con energia da Papa Francesco. Nel fatto che essere cristiani oggi comporti una sfida, quella di non conformarsi al pensiero del mondo, ma solamente alla verità di Dio. E questa debolezza, peraltro, sappiamo bene essere più numerica che qualitativa.
Perché se è vero che molti giovani si sentono spesso distanti dalla fede e da molte attività della Chiesa, delle parrocchie e delle comunità di credenti, nonostante la maggior parte delle volte sia dovuto a ignoranza delle stesse, a un’ideologia stantia che acceca lo spirito e l’intelletto, e a un pregiudizio che ammorba e impedisce ogni cambiamento, quelli che rimangono, e che continuano senza dubbi né paure a proseguire il loro cammino nella Chiesa e la loro vita nella fede, lo fanno con una intensità encomiabile e con una persistenza inaspettata, che li avvicina a vivere il mistero di Cristo e della sua Parola in maniera sorprendente. E lo diciamo perché sono i nostri occhi ad averne testimonianza, e i nostri cuori ad esserne colpiti, quando ci troviamo di fronte a esempi di questo tipo.
Giovani che non si danno mai per vinti, che perseverano nella fede, con costanza, nella ricerca di una bellezza e di una pienezza di vita altrimenti difficile da trovare, forse persino impossibile. Ragazzi e ragazze che non si scoraggiano di fronte alle difficoltà, che fanno di tutto per cambiare in meglio l’esistente, che si rimboccano le maniche per raggiungere i loro obbiettivi. Ma che prima si applicano con tutti loro stessi per discernere il bene dal male, per osservare la realtà traendone insegnamenti, conclusioni, giudizi. Per agire, quindi, di conseguenza. Futuri padri e madri di famiglia che non si fermano di fronte a ciò che vedono, che non si accontentano dei disfattismi, che non vedono tutto nero e che sanno che c’è qualcuno di più grande di loro che li guida, li accompagna e li sorregge. E che non li lascia mai.
Gli adulti stanno consegnando ai giovani “un mondo rovesciato”, visto che “la condizione giovanile per sua stessa natura è spalancata alla grande prospettiva esistenziale di una vita tutta da vivere e da costruire”, ha aggiunto il cardinale, presidente di Aiuto alla Chiesa che Soffre. Mentre “oggi essere giovani non è più un vantaggio anagrafico ed esistenziale, né sociale”. Condizione che i giovani stessi oggi vivono sulla loro pelle, e vedono, oltre che con inequivocabile chiarezza, con grande sconforto, affanno e disillusione. E il paradosso, ha chiosato il porporato durante l’incontro, è che spesso “proprio la Chiesa, da sempre accusata di non dare spazio ai giovani, sia in realtà il soggetto che maggiormente ne ascolta e accoglie le esigenze”.
Fa bene quindi il cardinale Piacenza a lanciare spunti per ricordare questa realtà concreta, viva e operante, e per mostrare a religiosi e ministri del culto la via da seguire oggi, la direzione tra intraprendere, in mezzo alle intemperie.
Cari amici, condivido in toto la vostra attenzione a un giudizio “anticonformista” sui giovani: oggi più che mai mi sembra urgente. Non so se sia fuori contesto, ma, da docente, mi ha molto colpita la valanga di luoghi comuni, “neo-conformisti”, snocciolati da opinionisti più o meno blasonati, o da colleghi insegnanti sulle loro bacheche social, a seguito del caso bulli di Lucca. Dagli anatemi contro le nuove generazioni viziate da genitori conniventi nella violenza contro i docenti, alla diatriba classista-non classista su licei e professionali (con gli alunni dei primi bollati come figli di papà arroganti e i secondi come selvaggi); per finire col de profundis del concetto di autorità cantato negli ultimi giorni. Tutto e il contrario di tutto – e il contrario di quello che ancora poche settimane fa, di fronte ad altri casi di violenza scolastica, si diceva. E tutto ciò dimenticando (incredibilmente) che in classe non si sta di fronte a luoghi comuni, ma di fronte persone, e che, perciò, la relazione educativa non è mai riducibile a schemi fissi, ma è incontro di individualità, sempre peculiare, anzi speciale. Mi sembra che questo atteggiamento rispecchi lo sguardo che la società tutta tende ad avere sulle nuove generazioni, sentite sempre più come un oggetto misterioso e perciò facilmente ridotte ad etichette (“sballati”, “abulici”, ” vanesi” …) che ne legittimano l’abbandono. In questo senso la Chiesa può davvero indicare una via per colmare il solco sempre più profondo che separa giovani e adulti: richiamare al rapporto con un Tu. Quel Tu che c’è in ogni ragazzo e che chiede di essere guardato. Quello stesso Tu che Gesù guarda e ama in noi e ci chiede di guardare in sé.