Il commento su politica italiana, Europa, elezioni: quale sarà il destino del nostro Paese e del nostro continente? L’attuale situazione finirà con un incidente, oppure è questa l’opportunità di un vero cambiamento?
Nonostante le scuse che vi hanno fatto seguito, le parole espresse dal commissario europeo al Bilancio, il tedesco Gunther Oettinger – “I mercati insegneranno agli italiani a votare nel modo giusto” -, mettono in luce un problema di cui, è un dato di fatto, si discute da anni. E che oggi sembra entrato a piedi pari, e con molta concretezza, nel dibattito politico italiano. Ovvero quello della dipendenza della politica e delle democrazie dall’economia e dalla finanza internazionale.
In questo aspetto dell’attuale situazione politica italiana è possibile affermare che, come affermano soggetti del cosiddetto “fronte populista” quali l’ex stratega del presidente degli Stati Uniti e fondatore del sito Breitbart News, Steve Bannon, l’Italia rappresenti una sorta di avanguardia. Che nel bene o nel male, cioè, mette in chiara luce e pone all’ordine del giorno una questione reale, sentita dagli elettori, e non solo da loro. Anche cioè da tutta quella classe intellettuale che da decenni ormai esprime una pubblicistica, molto ampia, fatta di libri, articoli, convegni, programmi politici perlopiù fumosi e inattuati o inattuabili, sul tema dello strapotere della finanza e della debolezza di riflesso della politica.
Per i partiti italiani non si tratta perciò, a questo punto, di quali scelte di politica interna compiere. Se cioè in linea o meno con quel famoso “neoliberismo” interno, tanto avversato, ma in realtà molto poco praticato nei suoi aspetti più positivi. Vista la spesa pubblica italiana in costante ascesa, e il debito pubblico che ne è derivato nei decenni e che grava tuttora sulle nostre teste con una spesa ingente e continua per gli interessi su di esso. Mentre, invece, molto più attivo nei suoi aspetti negativi, come la cancellazione di molte garanzie dei lavoratori e i tagli a istruzione e sanità, con un loro costante svilimento, e mai a burocrazie improduttive, partecipate inutili, centri di spesa utili a chi riceve più che a chi paga, ovvero il contribuente. Perché l’Italia ha bisogno di riformare le proprie istituzioni, e di riforme strutturali che aiutino l’economia. Ma riforme giuste, sensibili ai cittadini, scelte dall’interno e non imposte da altri. Che non creino esodati e giovani istruiti (male) e disoccupati (o sottopagati).
Si tratta quindi di mettere in primo piano una concezione sociale, politica, democratica, che ha molto a che fare con il tema della globalizzazione e con il mondo in cui siamo immersi. E che si domanda se si vuole continuare a subirla, la globalizzazione, magari in favore di altri paesi, come è giustamente accaduto negli ultimi anni. Il che è cosa buona, ma non per noi, specialmente quando le nostre imprese se ne vanno e i nostri stipendi calano. Oppure si vuole finalmente agire e diventare leader, conducenti, in un ottica fortemente orientata alla moralità, alla giustizia e al bene sociale dei singoli paesi. Nell’ottica di quel modello di “poliedro” che, come dice Papa Francesco, è il vero obiettivo di una globalizzazione “buona”, in cui “ogni parzialità mantiene la propria originalità”. E in cui viene preservata la propria tradizione e la propria cultura, che si esprime, formalmente, anche nel sistema economico-produttivo.
Quindi il tema centrale oggi, nella politica italiana, al netto di quello altrettanto importante della gestione dei risparmi, che per mezzo di una crisi di stabilità politica si svaluterebbero per mano di speculatori e spread, è l’Unione Europea. Che, come scrive stamattina su Il Messaggero l’ex leader ulivista Romani Prodi, “senza di noi non può andare avanti”. Quindi la pistola fumante che il professor Paolo Savona, l’economista candidato da Cinque Stelle e Lega alla guida del Mef, avrebbe portato a Bruxelles – quella cioè che prevedeva esplicitamente l’ipotesi di un improvviso quanto celere piano B, tuttavia mai riconosciuto nelle intenzioni espresse dai partiti nel loro “contratto del cambiamento”, e che vedremo se sarà un tema destinato a tornare in auge prossimamente – stavolta avrebbe sicuramente fatto più paura. Sarebbe stato cioè un forte deterrente, a Bruxelles. Sicuramente più dei “pugni sul tavolo” sbandierati in Italia dai precedenti leader politici, che una volta varcato il confine nazionale diventavano una flebile e accondiscendente voce verso rappresentanti di altri paesi che, senza dubbio con un’infinito maggiore pragmatismo e cinismo dei nostri, sanno e hanno saputo ben fare l’interesse dei propri connazionali.
Magari si sarebbero trovati – o si potrebbero trovare, parlando di un ipotetico futuro – altri paesi pronti a schierarsi con l’Italia in questa prospettiva. Per esempio paesi che, su molte tematiche risultate essere espressioni di visioni proposte più dai Paesi del nord-Europa che dalla totalità dell’Unione, hanno messo in evidenza la loro differenza di prospettiva da Bruxelles. Si pensa a Spagna, Grecia, ma anche alla Polonia o all’Ungheria. Paesi finora visti da tutti come spauracchi, ma che in una visione europea, che in questo caso diventerebbe a guida italiana, rappresenterebbero una coalizione di un certo peso. Un’alleanza, con una linfa vitale tratta dal messaggio cristiano. Che in questo modo concretizzerebbe una forza negoziale importante, e che potrebbe persino guardare al rafforzamento di una unione politica europea, che metta al centro temi condivisi. Insomma, si rischierebbe di avrebbe la libertà di dire la propria su tematiche che affliggono la nostra economia, e non solo. Quelle che, alla fine dei giochi, interessano agli elettori: la domanda interna, la ripartenza dei consumi e degli investimenti, il costo del lavoro, le garanzie e le tutele dei lavoratori, la possibilità di costruire una vita e di viverla con serenità.
Vedremo quindi cosa succederà dalle prossime ore fino ai prossimi mesi. I sondaggi danno una Lega in grande ascesa, dal 17 per cento delle ultime elezioni al 27 per cento se si votasse oggi, soltanto due punti sotto il Movimento 5 stelle al 29 per cento, e con Forza Italia sprofondata all’8 per cento. Che indica l’apertura, per l’ex Carroccio, di una doppia strada, che gli conferisce così il maggiore peso politico. Costituita cioè dalla possibilità di formare un governo con il centro-destra unito, con una percentuale complessiva di oltre il 40 per cento, oppure di scegliere un “governo del cambiamento” con il Movimento Cinque Stelle. In quest’ultimo caso con una maggioranza ampissima, di quasi il sessanta per cento, ma senza la possibilità di avere il proprio leader, Matteo Salvini, premier.
Tuttavia questa prospettiva non solo unirebbe geograficamente il voto del sud con quello del nord, e farebbe conquistare a quest’ipotetica alleanza addirittura il 90 per cento dei seggi uninominali alle prossime elezioni, come rivelato da un’indagine dell’Istituto Cattaneo pubblicata sul Corsera. Ma darebbe loro una grande legittimazione popolare, e quindi una maggiore forza, sia verso il Presidente della Repubblica che nei confronti di Bruxelles. E Salvini finirebbe al Viminale, cosa che lo renderebbe comunque soddisfatto.
Si tratterebbe in ogni caso di rialzare la testa, dopo essere stati fortemente accondiscendenti negli ultimi anni, o decenni. E di portare in Europa una visione nuova, italiana, latina. E perché no, una visione cristiana. Che è, in chiave storica, la vera tradizione culturale che potrebbe veramente offrire l’Italia in Europa, l’unica autorevole, non solo in Italia, e che corrisponde per di più alla realtà della cultura europea: quella cioè delle sue radici cristiane. Visione espressa con grande forza da Papa Francesco nei suoi storici interventi di fronte ai leader europei, uno su tutti in occasione del conferimento del Premio Carlo Magno al pontefice, nel maggio 2016. Considerando, inoltre, che Francesco è oggi il più assertivo contestatore del potere della finanza, e del denaro, sui popoli. E allo stesso tempo il più acceso promotore dell’unità, della collaborazione e della pace.
La riflessione che anima la Santa Sede in questo periodo storico, inoltre, non è per nulla carente per quanto riguarda tematiche di natura prettamente politica-economica. Anzi, propone una visione ben precisa, come dimostra il recente e innovativo documento promosso dalla Santa Sede, dal titolo “Oeconomicae et pecuniariae quaestiones“, e dal respiro fortemente attuale e rivolto al futuro. Pubblicato in parallelo alla forte discussione che si sta sviluppando attorno all’universo della “finanza cattolica”, quella finanza costituita cioè da un insieme di principi etici e morali riconducibili alla Dottrina sociale della Chiesa, da applicare in particolare ai prodotti di investimento finanziari, magari sulla base di una valutazione particolare. Un vero e proprio rating cattolico ed etico, non più centrato sul “dogma” del profitto, anche quando quest’ultimo viene ricercato a discapito della responsabilità sociale e del bene comune e della persona.
L’obiettivo di qualsiasi governo che nascerà, in ogni caso e con molta probabilità, sarà quello di uno stato nazionale più forte, che controlli maggiormente i flussi di persone, che tuteli le produzioni italiane, con incentivi contro la delocalizzazione e a favore dell’assunzione di nuovo personale, magari giovane. Che favorisca il rientro di capitali e imprese dall’esterno. E che infine contrasti il vero e proprio inverno demografico che si sta vivendo in Italia, con forti incentivi quindi per per i giovani, le famiglie già formate e le nuove famiglie. Perché questo è quanto viene chiesto dagli elettori. Nel frattempo, l’unico problema, concreto, che dovranno affrontare i fautori di questo passaggio, sarà quello di accompagnare alla prossima tornata elettorale il Paese nella maniera più sicura e ordinata possibile, tutelando i soldi dei risparmiatori. Il che non sarà tuttavia semplice.
Ma chissà che, a differenza di quanto continuamente proposto fino ad oggi investitori, professori, intellettuali e politici “responsabili”, non sia davvero questa la possibilità di invertire la rotta, di aprire il varco per una nuova strada. E chissà che non sia quella giusta.