Era ancora spaventata. Vecchie paure tornavano a galla, forse per provarla e disturbarla come fosse Pietro davanti al focolare aspettando risposte da un mistero di dolore immenso e morte. Anche lei aspettava la risurrezione, ma la vedeva come una cosa lontana, distante. Sarebbe già voluta essere una creatura nuova, piena di quell’amore che scaccia il timore. Ma qualcosa era già cambiato. Ora custodiva con timore il talamo nuziale della propria anima, senza disperazione, ma con un sacro timore che forse l’avrebbe scampata da pericoli a causa di pressappochismo nei confronti delle proprie mancanze. Non sapeva questo turbamento quanto sarebbe durato, eppure lo accolse come un dono, che l’avrebbe rinnovata, ripulita ancora una volta. Stavolta, però, non sarebbe stata sola. Aveva tante persone che le volevano bene e da cui percepiva il calore del loro affetto. Anche quello era dono di Dio. Aveva lui, il dono concreto più grande che Dio le avesse fatto da lì a quattro anni e, era sicura, ce l’avrebbe fatta, perchè erano in due e uniti da un amore grande. Non sapeva quando. Non sapeva perché. Non se lo meritava. Ma sarebbe successo perché Dio la amava e questo, che lei ci credesse o meno, non sarebbe mai cambiato. Forse, doveva solo accogliere la sua grazia redentrice, e lasciarsi cambiare, convertirsi, una volta per tutte.
Quelle paure derivavano da un senso di inadrguatezza, che l’aveva caratterizzata sin da quando era piccola. Le sembrava di non meritare la felicità, le sembrava che per il vocabolario della sua vita, quella parola fosse bandita. Invece era lì. Doveva solo distaccarsi una volta per tutte da quella paura innata di soffrire, o di avere paura, perché Cristo l’aveva già liberata da questo. Doveva solo capirlo. Doveva solo fruirne.
Elisa Pallotta